"Il Cuore Malato e la Voce Segreta: Una Storia d'Amore"

"Il Cuore Malato e la Voce Segreta: Una Storia d'Amore"

Attualmente sta guadagnando sempre più attenzione la cosiddetta "teoria delle fiamme gemelle", un nuovo modo di interpretare l'amore che tutti noi desideriamo nella nostra vita, similmente alla leggenda del filo rosso o al mito di Platone. Quello che ho compreso è che l'amore non ci abbandona mai, e lo cerchiamo incessantemente, nonostante le avversità. Più profondo è l'amore, più ci spinge a scoprire la nostra vera essenza. Parlo proprio io, che porto con me numerose cicatrici , eppure continuo a cercarlo come se fosse l'aria che respiro, una fonte vitale da cui attingere creatività, coraggio e significato. Sembra davvero che l'amore sia il linguaggio universale più potente e divino, capace di svelare la verità. Ma procediamo con calma, poiché non si tratta di un argomento da liquidare in poche righe come un biglietto dei Baci Perugina.

Allora, che cos'è questo “Amore” che muove l'universo e il divino, che scuote la terra e l'umanità?

Che cos'è questa linfa vitale che non ci dà tregua, anche quando sembra assente?

E io che ne so! O meglio... ho iniziato a farmi un’idea e, come mio solito, farò leva sul mio principale talento: l’immaginazione. Ecco dunque la mia leggenda personale.

 

"Il Cuore Malato e la Voce Segreta: Una Storia d'Amore"

In un tempo non ben definito nacque una bimba come tante. Aveva la pelle blu e i capelli argentati. La tolsero subito dalle braccia della mamma perchè aveva il cuore malato così che la sua entrata nel mondo fu tra le lacrime. Tinti i capelli di nero e sbiancata la pelle alla luce della notti ,insonni, di luna piena, non riuscirono mai a truccarle il cuore. Un organo malato che inspiegabilmente continuava a funzionare. Un’etichetta per quella creatura non c’era, erano tutte passeggere e svariate, così che questa bimba, stanca dei tentativi degli altri di darle un nome, tenne nascosta una voce che rispondeva al suo battito. 

“hai da sempre parlato al mio cuore perchè sapessi ascoltare la tua voce” dice una canzone.

Raggiunta l’adolescenza aveva oramai aveva imparato a fare il camaleonte, così che tutti fossero contenti di chi avevano davanti e nessuno potesse interrogarsi o interrogarla su quella voce e quel cuore che lasciava libero di correre solo di nascosto attraverso gli occhi. Guardava i colori sfumare dal bianco al verde dello scalogno germogliato in cucina, la geometria a sesto acuto dei finocchi per l’insalata, l’arcobaleno che filtrava dallo spioncino di casa, la rete bianca di schiuma sulla superficie del mare e, se chiudeva gli occhi, poteva sentire i rumori del mondo sintonizzarsi al suo battito.

Era sempre quella voce che le regalava stimoli per i sensi facendole battere il cuore a diverse melodie vitali. 

Tra i suoi coetanei, nei racconti di famiglia e nelle storie accuratamente selezionate dalla società, le dissero che era ora di pensare all’amore:

“ non t’interessano i ragazzini?” 

“Con questo carattere non ti vorrà nessuno”

“Quando hai intenzione di dare sfogo ai tuoi ormoni?”

“Ormai sei signorina”

“Perchè non ti vesti più da donna?”

“ Non ti piaceranno mica le femmine”

“ Quel tipo ti si sta avvicinando, se non ti piace è comunque esperienza”

“Non vorrai mica arrivare vergine al matrimonio”

“Prenditi le tue soddisfazioni adesso “

“ l’età per giocare è finita”

 

Lei creava maschere, nonostante le richieste fossero sempre più varie e spesso dettate dalla mancanza di qualcosa ,risultando così vuote, ma solo avendo una maschera appropriata per ogni occasione, avrebbe potuto, durante le pause, tornare a osservare il sole che filtrava tra le foglie colorate o dalle carte di caramelle.

E così accadde che, mentre indossava la maschera da maschiaccio giullare, entrò nella sua vita una nuova persona. La voce che le sussurrava attraverso le coccole del mondo le fece battere il cuore come un colpo secco, strappandole via la maschera. Lei la raccolse in fretta sperando che nessuno l’avesse notato. Ma, chinandosi il suo sguardo incontrò quello di lui, intento a raccogliere la sua. Entrambi fissarono il filo invisibile che li aveva smascherati, con ancora nelle orecchie il suono della corda rivelatrice che vibrava come un violino strimpellato con violenza.

Le maschere, una volta riposizionate sui loro volti, mostravano segni di una crepa, frutto di quella caduta inaspettata. Le avevano sempre detto che l’amore era fatto di flirt, baci, ormoni impazziti, esperienze più o meno belle, giochi di seduzione. Non le era mai passato per la mente che quella voce, con cui aveva dialogato fin dalla formazione nel grembo di sua madre, potesse rappresentare l’amore.

Se questa fosse una storia per bambini o un film, lei e lui sarebbero stati così maturi e stabili da riconoscere le emozioni e vivere felici e contenti. Ma la realtà era ben diversa: quell’incontro segnò l’inizio di un processo distruttivo, un tentativo di riparare la crepa, di ricostruire un’armatura. Da quella fessura cominciarono a infiltrarsi rumori che distorcevano la voce, e nella disperazione di mantenere intatto quel battito puro e originale che elargiva una vitalità divina, la ragazza accettò anche il rumore sporco, quei legami provvisori che, seppur fragili, le ricordavano la sua sinfonia personale, la scintilla divina. 

I cerotti marcirono, mentre la crepa si allargava, tracciando un reticolo che lei indossava come un'ornamento. Gli anni passarono tra complimenti per quella bellezza fratturata, per la forza con cui teneva su i cocci e li decorava. Nel silenzio, lei intonava le poche note rimaste nella sua memoria, illudendosi di possedere l'amore.

Arrivò il momento di diventare adulta, e con esso la maschera iniziò a perdere piccole schegge di ceramica, che le ferivano gli occhi rendendola quasi cieca.

Accadde anche che Lui e Lei si rincontrassero. Per un attimo, entrambi si liberarono della maschera con uno strattone familiare ,si salutarono, sorridendo. Un sorriso antico, primordiale, ancora fanciullesco. Ma lei, in quell’istante, si rese conto che il suo vero volto non era stato nutrito da tempo: l’azzurro della pelle era diventato nero come il carbone e, al posto di un sorriso, forse aveva mostrato un ghigno quasi demoniaco. La vergogna la assalì. Si nascose.

Ma la maschera non poté resistere a quell’azione e continuò a sgretolarsi, infliggendole ferite sempre più profonde, rendendo impossibile tenerla ancora sul volto. “Sto morendo”, mormorò tra sé, lasciando cadere il finto giullare a terra in mille pezzi. Rimase in silenzio, le lacrime le scendevano lungo le guance non tanto per le piaghe della pelle, ma per aver dimenticato le ultime note. Tutto era diventato silenzio: un silenzio pesante, insopportabile, tombale. Nella sua disperazione, pensò che forse avrebbe potuto correre da Lui, colui che conosceva il suo segreto, per chiedergli aiuto nel creare un’altra maschera, una solida, capace di durare fino alla sua morte fisica. Ma qualcosa nelle sue ossa stanche le sussurrò che lui non l’avrebbe accettato; non avrebbe perdonato che quella maschera l’avesse trasformata in un cadavere, un burattino che si cuce da solo i fili…e non lo avrebbe accettato nemmeno lei.

Non sapendo cosa fare, rimase in silenzio, lasciando che le lacrime scorressero. Il loro sale si posava sulle ferite, disinfettando, scavando, pulendo, liberando il suo petto. Improvvisamente scoppiò a ridere: sentiva di nuovo qualcosa, certo doloroso, ma sotto quel bruciare c’era un sussurro familiare. Rideva, piangeva e urlava, respirava. Le dissero che era pazza e provò vergogna, ma continuò a ridere, piangere e urlare per mesi. I capelli cominciarono a tornare bianchi, la pelle si striò di belle sfumature bluastre. Si guardò allo specchio e, in mezzo a quei colori inadeguati alla vita sociale, sorrise. La sua pelle brillava come labradorite, i suoi capelli erano fili d’argento. Inspirò, ammirata, e il suo cuore rispose a delle note quasi impercettibili.

Perché non ci aveva mai pensato prima? Perché non poteva riconoscersi, anche lei, come parte integrante del creato che aveva dato vita all’abbecedario del suo sistema linfatico? Rise, scoprendo di essere una creatura unica, e una curiosità fervente la spinse a esplorare la sua meraviglia, frutto della manifattura divina. Era accompagnata da quella sinfonia scritta solo per lei, le cui note risuonavano nel grembo del tempo, nel grembo di sua madre e nel suo.

 

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3 commenti

Come sempre ciò che non sì può capire, incasellare o inquadrare “è malato”.
Pensato sin dall’ eternità “perché tu sia felice”. Essere unico e irritabile, certo è normale che ci si voglia adattare alle situazioni,ma perché? Perché è l’unico modo per essere considerato, l’ unico modo per rubare un po’ d’ affetto per poter sopravvivere.
Ma “in principio non era così” l’ uomo (intendo essere umano femmina e maschio) esiste per amore, è chiamato a realizzarsi nell’ amare in quell’ amore che da la vita, che è la vita stessa nella totale diversità degli esseri umani.

Pierino Mastinu

Quello che urla é senza dubbio il cuore erroneamente “diagnosticato” e rivendica di essere guarito e portato alla sua originaria bellezza. 🙂

Il telaio Storto

E se chi urlava non fosse la ragazza dai capelli d’argento ma un cuore che rivendicava il suo stato di salute considerato erroneamente malato?

Elisabetta

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